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Cambiamento

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Il Cambiamento

Filastrocca dei Mutamenti

«Aiuto, sto cambiando!» disse il ghiaccio
«Sto diventando acqua, come faccio?
Acqua che fugge nel suo gocciolìo!
Ci sono gocce, non ci sono io!
»
Ma il sole disse: «Calma i tuoi pensieri
Il mondo cambia, sotto i raggi miei
Tu tieniti ben stretto a ciò che eri
E poi lasciati andare a ciò che sei
»
Quel ghiaccio diventò un fiume d’argento
Non ebbe più paura di cambiare
E un giorno disse: «Il sale che io sento
Mi dice che sto diventando mare
E mare sia. Perché ho capito, adesso
Non cambio in qualcos’altro, ma in me stesso
»

Mi sono chiesta cosa accomuna le persone che scelgono di intraprendere un percorso di psicoterapia. La risposta che ho ipotizzato come più comprensiva ed estendibile è: il cambiamento. Se non si tratta di cambiare sé stessi – almeno apparentemente – si tratta di cambiare una situazione, una relazione, un atteggiamento, un comportamento, un modo di pensare, una prospettiva. Qualcosa che a qualche livello porta una forma di sofferenza e che non trova più il suo spazio all’interno del sistema di costruzione della persona e di comprensione del mondo. Ma, in che senso interpretiamo il processo di cambiamento? Quale richiesta fanno le persone in terapia? Cosa ci si aspetta? Chiedono di sostituire alcuni aspetti del sé? Di trasformarsi? Di eliminare qualcosa per diventare qualcos’altro? Di diventare diversi da quello che sono? Di cambiare il mondo esterno, gli altri? E cosa propone la psicoterapia?

illustrazioni di Liza Schiavi

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Cambiare è faticoso

Ogni mutamento personale non è indolore; cambiare implica spesso fatica, sofferenza, costanza, determinazione, alternanza di sentimenti vissuti sia negativi che positivi: “in verità, non so dire se la situazione sarà migliore quando cambierà; posso dire che deve cambiare se si vuole che diventi migliore” (Georg Christoph Lichtenberg, Osservazioni e pensieri). Il cambiare fa parte dell’uomo, ma spesso rimane uno dei passi più difficili da realizzare. L’obiettivo è quello di consentire un cambiamento adatto alla persona che si è.

Quando in terapia mi sono sentita dire, con estrema difficoltà e sofferenza da parte dei clienti: “Dottoressa, è come se volessi restare nel mio male, nella mia infelicità”, ci siamo mossi assieme per dare un senso a questa immobilità. La persona percepisce l’esigenza di cambiare, ma avverte che si tratta di un grande l’impegno e, a volte, viene pervasa da un senso di impossibilità. Più i mutamenti sono significativi e centrali nella vita della persona e più mettono in discussione le proprie certezze e il proprio equilibrio, può mettere in crisi parte di sé stessi, la propria storia personale, le scelte fatte. Il cambiare implica spesso soffrire, perdersi, misurarsi con il dolore, con l’angoscia, la paura (C. Cristini, 2012).

Un cliente che sta per intraprendere il percorso di psicoterapia può spaventarsi all’idea di poter cambiare la sua prospettiva. In questi termini il cambiamento può essere difficile. Cambiare non è indolore o solo auspicabile: si tratta di fare una scelta che permette alla persona di conservarsi anziché distruggersi. Alla luce del “prezzo” del cambiamento, nella psicoterapia, ogni movimento avrà l’obiettivo di riattivare il sistema del cliente, favorendo il suo benessere. Non si tratta di capovolgere la vita di una persona, ma di promuove un piano d’azione per aiutarla ad uscire dallo stallo in cui si trova. L’intervento del terapeuta consiste nel “favorire l’esplorazione della conoscenza personale e soprattutto l’elaborazione di modi alternativi di costruire sé stesso e la sua relazione con gli altri, tali da comportare la risoluzione, o forse, meglio, la “dissoluzione” del problema presentato” (G. Chiari, 2002).

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La psicoterapia come aiuto alla ri-costruzione

La psicoterapia, dunque, non è un modo per cambiare radicalmente, un modo per diventare altro da sé: sarebbe minaccioso ipotizzare di diventare qualcosa di ignoto ed estraneo. All’aspettativa di cambiamento inteso come stravolgimento di sé, è subentrata in me l’idea di cambiamento come scoperta o riscoperta di qualcosa di percorribile alla luce di ciò che si è. Il processo di cambiamento parte sempre dal modo che quella persona ha di vedere al mondo, da ciò che ha senso e significato per lei. Cambiare in questo senso non indica diventare qualcosa che non sono più, ma poter percorrere una nuova strada, quando per “nuova” si vuole intendere mai praticata prima e percorribile per quella persona.

In terapia ho sentito molte volte la frase “Dottoressa ho bisogno di una cambiamento radicale” accompagnata da un senso di impotenza e di disorientamento. Davanti a queste affermazioni mi sono chiesta chissà quale tipo di trasformazione avremmo dovuto prendere in considerazione. Il cambiamento deve poterci appartenere, non può essere qualcosa di deciso a priori o dall’esterno, deve potersi adattare al sistema della persona e il sistema della persona si adatterà alle nuove strade percorribili per sé stessa. Il processo di cambiamento inizia sempre dall’idea che la persona ha di sé. È in questo senso che mi sembra comprensibile l’espressione che conclude la “Filastrocca dei Mutamenti” di Bruno Togliolini riportata in apertura: “non cambio in qualcos’altro, ma in me stesso”. Si supera quell’impercettibile, ma legittimo senso di immodificabilità, che si dissolve appena si prende in considerazione l’ipotesi che si stia favorendo una revisione ricostruttiva del sistema disegnato dalla persona stessa.

A mutare è il modo con cui si guarda se stessi e il mondo, è questo che ci fa dire senza timore “in fondo siamo rimasti gli stessi di sempre!”. Questo permette alla persona di potersi riconoscere in una continuità e con coerenza vivendo un senso di stabilità nel movimento.